“DOLORE mestruale, passerà”. E’ questa la risposta più comune per i circa tre milioni di donne che, in Italia, soffrono di endometriosi. Una malattia originata da porzioni più o grandi dell’endometrio, il tessuto che ricopre l’organo dell’apparato genitale femminile, che si sviluppano da altri parti. Ad esempio nell’ultimo tratto dell’intestino o nelle ovaie. Purtroppo per queste donne, si tratta soprattutto di giovani tra i 25 e i 34 anni, all’inizio la sensazione è quella di non essere creduto, tanto che per arrivare ad una diagnosi spesso occorrono anni.
Secondo dati recentemente resi noti del Ministero della Salute, addirittura, i fastidi iniziano già nelle teenegers. Sette pazienti su 10 presentano sintomi della malattia fin da quando sono adolescenti, ma per ipotizzare le cause del disturbo ci vuole tempo. Troppo tempo, considerando che da adolescenti il 47 per cento delle ragazze deve consultare 5 specialisti prima di ricevere la diagnosi. Nel frattempo, quel dolore che si fa sempre più forte e non si limita solamente “a quei giorni”, ma addirittura precede di gran lunga le perdite mestruali. Otto volte su 10, secondo mvli studi più recenti, diventa difficile proseguire nel proprio lavoro, specie se si è a contatto con il pubblico. E nel 73 per cento dei casi causa problemi con amici e familiari che non si spiegano la chiusura di chi soffre di questo disturbo di fronte alle occasioni di svago o di vita sociale. Sia chiaro: i casi di endometriosi non sono tutti uguali.
“Fondamentalmente si possono riconoscere due tipi di malattia” spiega Mario Malzoni, specialista in ginecologia e responsabile del centro nazionale di endometriosi (www.centronazionaleendometriosi.it) “a volte si formano cisti all’interno dell’ovaio, legate alle emorragie ripetute del tessuto uterino presente nell’organo, che possono essere individuate con un’ecografia e quindi asportate con un intervento chirurgico in laparoscopia. Più complessa è l’endometriosi infiltrante, che spesso provoca un più intenso dolore e tende ad invadere anche gli organi più vicini, cioè l’ultima parte dell’intestino, la vagina, la vescica e gli ureteri. In questi casi, può essere necessari ricorrere all’intervento chirurgico, che deve essere eseguito da equipe specializzate, vista la complessità dell’area e la necessità di “pulire” adeguatamente i tessuti, facendo particolare attenzione ai nervi. Questi interventi sono quindi particolarmente complessi”. Per fortuna il bisturi entra in gioco solo nei casi più gravi, quando i farmaci non bastano per tenere sotto controllo il dolore oppure quando la donna ha un elevato rischio di infertilità legato alla malattia. La diagnosi precoce, poi, è fondamentale anche per riconoscere i casi in cui il tessuto “uterino fuori posto” comincia a invadere le strutture vicine: eliminare immediatamente eventuali propaggini di endometrio significa preservare il benessere futuro della donna.
Sul fronte delle cure, in ogni caso, il ginecologo ricorre sempre più spesso ad una specie di “pillola” a base di progesterone che per un certo periodo elimina le mestruazioni e quindi il ripresentarsi ciclico dei fastidio. L’altro obiettivo fondamentale, è quello di controllare meglio il dolore. Questo è molto più intenso del classico dolore mestruale fin dall’inizio ma soprattutto col tempo, specie quando il tessuto endometriosico si infiltra negli organi vicini. In questo caso il classico dolore mestruale interessa tutta la parte bassa dell’addome, quella che gli esperti definiscono pelvi, e tende a diventare cronico. Il problema nasce perché nell’endometriosi si scatena un’infiammazione cronica che porta all’esagerata attività di una cellula, chiamata mastocita. Questa favorisce l’infiammazione e quindi anche la proliferazione del dolore stesso, con incremento dei segnali che viaggiano verso il cervello. “il dolore si manifesta nel 96 per cento circa delle donne” precisa Malzoni “nella maggioranza dei casi si presenta solo in corrispondenza della fase mestruale, ma nel 5 per cento della popolazione femminile è persistente e cronico e va trattato il prima possibile.
Proprio il dolore cronico è la sfida più complessa da affrontare e il trattamento va scelto caso per caso. Su questo fronte, oltre ai classici antinfiammatori che col tempo possono dare effetti collaterali ai danni dello stomaco, le linee guida europee e italiane propongono in alcuni casi selezionati il ricorso a oppiacei forti, come l’associazione ossicodone-naloxone, che consente di usufruire dell’efficacia dell’antidolorifico senza particolari conseguenze gastrointestinali come la stitichezza”. L’importante in ogni caso, è fare riferimento il prima possibile ad un’esperto per capire che davvero i problemi siano legati a questa malattia.
Arrivare prima significa anche avere più armi per la cura della malattia e soprattutto frenare l’avanzata del dolore. “I processi che portano al dolore sono plastici e non statici” conclude l’esperto “e un dolore continuo non trattato può causare modificazione nelle strutture neuronali (cioè delle cellule nervose) coinvolte nella generazione del dolore. Lo specialista è quindi fondamentale per gestire al meglio i problemi è necessario inoltre, ricorrere tempestivamente all’uso di farmaci efficaci e sicuri per l’impiego a lungo termine”.